Cosa vedere a Villa d'Este
La villa fu voluta dal cardinale Ippolito II d'Este, figlio di Alfonso I e di Lucrezia Borgia (Ferrara 1509 - Tivoli 1572). La storia della Villa si intreccia con le vicende del cardinale: per l'essenziale contributo dato dal cardinale d'Este alla propria elezione, nel 1550, Papa Giulio III del Monte volle ringraziarlo nominandolo governatore a vita di Tivoli e del suo territorio. Il cardinale arrivò a Tivoli il 9 settembre e vi fece un'entrata trionfale, scoprendo però che la residenza del governatore era un vecchio e scomodo convento benedettino, ora tenuto dai francescani, parzialmente rinnovato.
Ippolito era abituato a ben altro, nella sua Ferrara, ma l'aria di Tivoli gli giovava e inoltre, grande cultore di antichità romane, era molto interessato ai reperti che abbondavano nella zona. Pertanto decise di trasformare il convento in una villa.
La villa sarebbe dovuta essere la gemella del grandioso palazzo che stava contemporaneamente facendo costruire a Roma, a Monte Giordano; così come il palazzo romano doveva servire ai ricevimenti per rinsaldare le amicizie dell'Urbe, così Tivoli doveva fungere da piacevole luogo d'incontri e colloqui più lunghi e meditati. Non a caso il luogo in cui sorse la villa aveva il nome di "Valle Gaudente".
I lavori della Villa furono affidati all'architetto Pirro Ligorio affiancato da un numero impressionante di artisti ed artigiani. La realizzazione della villa seguì però le vicissitudini curiali del cardinale governatore, allontanato nel 1555 dal papa Paolo IV Carafa, poi ripristinato nella carica da papa Pio IV nel 1560 e danneggiato nelle prebende dai pessimi rapporti di papa Pio V con i francesi, che erano da sempre i suoi grandi alleati.
Si dovettero inoltre acquisire i terreni necessari da ben due chiese appartenenti a ordini diversi, operazioni che durarono fino al 1566, e convogliare le acque dell'Aniene con nuovi cunicoli che provenivano dalle cascate. Anche i materiali da costruzione creavano problemi: il permesso, ottenuto dal Senato di Roma, di utilizzare il rivestimento di travertino della tomba di Cecilia Metella per i lavori di costruzione della villa, venne successivamente revocato (non prima di aver asportato tutto il rivestimento della fascia inferiore del monumento, lasciandolo come oggi si presenta).
Il cardinale ebbe appena il tempo di godersi la solenne inaugurazione della villa avvenuta nel settembre del 1572, con la visita del papa Gregorio XIII, e poi morì, a dicembre dello stesso anno.
I primi proprietari della villa, furono tre cardinali d'Este governatori di Tivoli: il fondatore, Ippolito II, Luigi fino al 1586 e infine Alessandro, fino al 1624. Quest'ultimo riuscì a mantenerne la proprietà diretta alla casa d'Este anche per quando, in futuro, la famiglia non fosse stata più presente nel collegio cardinalizio, e realizzò manutenzioni e innovazioni decorative, tra le quali è degno di nota l'apporto di Gian Lorenzo Bernini.
Successivamente la villa e i suoi impianti, passati agli Asburgo, furono lasciati deteriorarsi e le collezioni antiquarie furono disperse, fino a quando un Hohenlohe, a metà '800, se ne innamora, la ripristina e per il resto del secolo la pone di nuovo al centro di intense attività artistico - mondane; uno dei frequentatori affezionati fu, all'epoca, Franz Liszt che alla villa si ispirò per alcuni brani delle Années de Pèlerinage (Troisième année: Aux cyprès de la Villa d'Este, Thrénodie I – Aux cyprès de la Villa d'Este, Thrénodie II – Les jeux d'eaux à la Villa d'Este).
Nel 1918, dopo la prima guerra mondiale la villa passò allo Stato Italiano che diede inizio ad importanti lavori di restauro, ristabilendola integralmente ed aprendola al pubblico. Un'altra serie di restauri fu invece eseguita nel dopoguerra per riparare i danni fatti da alcune bombe cadute sul complesso durante l'ultimo conflitto mondiale.
Particolarmente interessanti sono gli interni, di cui il piano nobile fu decorato e dipinto da un nutrito gruppo di artisti sotto la direzione di Livio Agresti da Forlì.
Lo splendido giardino, opera mirabile frutto del genio di Pirro Ligorio, si estende a partire dalla facciata posteriore della villa, rispetto all'ingresso attuale del palazzo, ed è articolato fra terrazze e pendii, con un asse longitudinale centrale e cinque assi trasversali principali, collegando e unendo con maestria le diverse pendenze del giardino, utilizzando uno schema architettonico tipico delle città romane.
L'ingresso originario, era però più suggestivamente posto sull'antica via del colle, vicino alla chiesa di San Pietro, il cui abside spalleggia un lato del giardino, dando molta più maestosità e suggestione al complesso, da parte del visitatore.
L'originale disegno, in aggiunta allo splendido paesaggio di cui si può godere dai vari piani del giardino, le fontane con i loro splendidi giochi d'acqua, lussureggianti alberi e piante di varie specie rendevano il giardino di Villa d'Este, uno dei più belli e famosi esistenti, tale da essere modello per la realizzazione di molti successivi.
Tutto ciò costò al Ligorio un lavoro lungo e molto impegnativo: sfrutto la vecchie mura urbane come rinforzi architettonici per la realizzazione del terrapieno, e risolse il problema dell'approvvigionamento della grande abbondanza d'acqua che occorreva per far funzionare tutte le fontane che aveva progettato di costruire, calcolandone le quantità precise.
Per questo motivo costruì un sistema di tubazioni e una galleria lunga circa seicento metri, sotto la città di Tivoli, che adduceva l'acqua direttamente dall'Aniene fino ad una vasca: la portata era di ben 300 litri al secondo. Tutte le fontane erano poi alimentate senza uso di alcun congegno meccanico, ma soltanto sfruttando la pressione naturale e il principio dei vasi comunicanti.
Il risultato è solo in parte visibile ai giorni nostri, e i numeri sono eccezionali: 35.000 m2 complessivi di giardini, 250 zampilli, 60 polle d’acqua, 255 cascate, 100 vasche, 50 fontane, 20 esedre e terrazze, 300 paratoie, 30.000 piante a rotazione stagionale, 150 piante secolari ad alto fusto, 15.000 piante ed alberi ornamentali perenni, 9.000 m2 di viali, vialetti e rampe.
Il vialone
Scendendo la monumentale doppia scala progettata da Pirro Ligorio, dopo un breve loggiato coperto, che lo collega alla Sala Centrale, è il piano rialzato del Vialone, il primo e più grande viale del giardino, che si estende parallelamente alla facciata del palazzo per circa duecento metri, e viene limitato da una parte, dalla Gran Loggia, e dall'altro dalla Fontana Europa.
Qui il cardinale e la sua corte soggiornavano nei giorni più caldi, per godere dell’aria fresca e del piacere proveniente dalla vista del giardino che si staglia innanzi al Villa, e per assistere agli spettacoli.
La Gran Loggia
Delimita il Vialone sulla sinistra della Villa. Fu realizzata fra il 1568 e il 1569, anche se in realtà non fu mai come sala da pranzo, in quanto i commensali potevano avere il piacere di un pasto sontuoso all'aperto, godere della vista, ed essere riparati dal sole e dall'umidità. La Loggia infatti, ha alle spalle uno splendido affaccio sulle campagne tiburtine e uno straordinario paesaggio.
Chiunque si fermi ad ammirare la Gran Loggia, ne può intravedere la sua somiglianza con un Arco di Trionfo simile a quelli degli imperatori romani, come anche la stessa somiglianza si può notare nella opposta Fontana Europa.
La Grotta di Diana
Discendendo dalla villa, sulla sinistra di un vialetto, sta la Grotta di Diana. Completamente decorata con mosaici di pietre, stucchi ad alto e bassorilievi, e decorazioni a smalto, fu realizzata dai bolognesi Lola e Paolo Calandrino, e da Curzio Maccarone; il pavimento invece, come visibile da qualche traccia rimastaci, era in coloratissime maioliche dai più svariati motivi ornamentali.
Le eleganti e pregevoli statue che abbellivano la grotta, raffiguravano due Amazzoni, Minerva e Diana cacciatrice, alla quale era appunto dedicata la grotta: queste si trovano ora al Museo Capitolino, dove furono trasportate dopo che il Papa Benedetto XIV le acquistò. Alle pareti, oltre a rami di Cotogno e cesti di frutta in stucco, altorilievi di Nettuno, di Minerva, delle Cariatidi, delle Muse, con occhi di pietre preziose, sono rappresentate cinque scene a soggetto mitologico.
La prima scena riguarda la trasformazione di Dafne, la quale per sfuggire ad Apollo, fu tramutata dagli dei in Alloro; la seconda scena rappresenta Andromeda che viene liberata da Perseo, essendo stata incatenata per essere offerta in sacrificio a un mostro marino, quale prezzo da pagare per placare l'ira di Poseidone; nella terza scena è invece raffigurata la metamorfosi del cacciatore Atteone in cervo, operata da Artemide, per punirlo di aver osato spiarla nuda; la quarta scena tratta della trasformazione di Siringa in canna, per sfuggire all'amore del dio Pan; la quinta scena infine è quella di Callisto che viene trasformata in Orsa, per la gelosia di Era nei confronti di Zeus.
la Rotonda dei Cipressi
Si trova nella parte più bassa del giardino, sull'asse principale, vicina all'antico originario ingresso del Palazzo, su via del Colle. Essa altro non è che un piazzale a forma di esedra circolare, contornata da giganteschi alberi di Cipresso secolari, che svettano maestosi verso il cielo.
Sono forse fra i più antichi esemplari esistenti, non godenti di ottima salute, piantati al posto dell'originario chiosco in legno; adornavano la Rotonda, una serie di statue rappresentative delle Arti Liberali; erano anche presenti delle grandi pergole. Completano il piazzale quattro basse fontane.
Essa offre inoltre una splendida e affascinante vista d'insieme del palazzo e del giardino, che tanto stupore doveva suscitare nel cinquecentesco visitatore. Gabriele d'Annunzio dovette essere vittima della bellezza di questo piazzale, ricordandone, in un verso del suo "Notturno", gli alti Cipressi
Il Bicchierone
Detta anche "del Giglio", questa fontana è dislocata sotto la Loggia di Pandora, sull'asse principale della giardino della Villa. Raffinata e pacata, la fontana fu aggiunta quasi un secolo dopo la realizzazione della Villa, nel 1661, su commissione del cardinale Rinaldo D'Este a Gian Lorenzo Bernini.
La fontana, di gusto architettonico, raffigura un calice dentellato (il 'Bicchierone' per l'appunto) sovrapposto ad un altro simile, entrambi sorretti da una grande conchiglia. L'effetto che si crea è di un armonioso e sereno gioco d'acqua poetico. La fontana fu attivata nel maggio del 1661 per onorare gli illustri ospiti della Villa, ma il suo zampillo fu successivamente ridimensionato dallo stesso Bernini, perché, essendo troppo alto, impediva la vista dalla Loggia di Pandora.
Fontana Europa
Posta sul Vialone, diametralmente opposta alla Gran Loggia, assume, come quest'ultima, la forma di una sorta di arco di trionfo, formato da due ordini di colonne sovrapposte, dorico e corinzio, che delimitano un nicchione entro il quale era posto il gruppo monumentale, ora presso Villa Albani a Roma, di Europa che abbraccia il Toro, che componevano una splendida fontana dalla quale fuoriuscivano le acque che ricadevano in una pregevole vasca marmorea, oggi perduta.
Fontana di Pegaso
Situata fra rocce e vegetazione, alle spalle della Sibilla Albunea della sottostante fontana dell'Ovato, la fontana è formata da una vasca di forma circolare, al centro della quale si trova una grande roccia, sulla quale trionfa la statua del mitico cavallo alato Pegaso, nato dalla decapitazione di Medusa, rampante su due zampe, e dalle ali spiegate, quasi stesse spiccando il volo dopo essersi dissetato nella fonte.
La composizione ricorda la storia di Pegaso, che giunto sul monte Elicona, sbattendo il suo zoccolo sul terreno, fece sgorgare la fonte Ippocrene, sacra alle muse. Sullo sfondo, la chiesa romanica di San Pietro alla Carità, verso la quale si apre uno dei cancelli della villa d'Este. La chiesa fu costruita nel V secolo sul sito di una villa romana - probabilmente la stessa della quale sono stati riportati alla luce alcuni resti sotto i pavimenti delle sale della villa - per ordine del tiburtino Papa Simplicio.
Cento Fontane
Progettate da Pirro Ligorio, fiancheggiano un viale lungo cento metri che congiunge la Fontana dell'Ovato, detta anche di Tivoli, con la Rometta, detta anche di Roma. Metaforicamente i tre piccoli corsi d'acqua paralleli che si formano, a diverse altezze, per l'alimentazione degli zampilli, rappresentano il fiume Albuneo, il fiume Aniene e il fiume Ercolaneo, i tre affluenti del Tevere (rappresentato dalla Rometta), generati dai monti Tiburtini (rappresentati dalla fontana dell'Ovato).
I cento zampilli sono organizzati in due file sovrapposte di mascheroni dalle forme antropomorfe, mentre sovrastano il canale più alto, schizzi generati e alternati da sculture di gigli, obelischi, navicelle e aquile estensi, simboli cari al cardinale: gigli di Francia e aquile (aggiunti nel 1685 da Francesco II di Modena) simboli della famiglia d'Este, la barca di San Pietro quale simbolo del potere papale.
La suggestione di questo viale affiancato da gorgoglianti zampilli ha fatto da sfondo a numerosi film, come la scena del banchetto nel Ben Hur di Wyler.
Certo è che a costruzione ultimata, le Cento Fontane dovevano avere un ben più forte impatto: marmi lucidi e splendide sculture integre dalle quali uscivano scrosci prepotenti, dovevano dare una più fastosa e ricercata impressione di bellezza.
Ma come in molte altre fontane della villa, lo scorrere delle acque nei secoli ha corroso le sculture e intaccato i preziosi marmi, cancellando anche la scritta che recavano su tutta la prima fila le bocche zampillanti.